Il Vangelo da dentro SE LE PIETRE POTESSERO PARLARE (Lc 4, 1-13) Se parlassero le pietre… Quante cose avrebbero da dire e quante storie da raccontare. Il fatto è che noi parliamo; siete voi che non avete la capacità di ascoltarci. Avete perso quasi del tutto quella speciale sensibilità che permette di sentirsi in simbiosi con la natura e di ascoltare la sua voce. Riconosco che in alcuni luoghi particolari, quelli che definite “dello spirito”, le pietre conservano ancora un potere evocativo, e vi “parlano” trasmettendo un messaggio legato a un determinato fatto o personaggio. Le pietre del deserto palestinese ne hanno di storie da raccontare, molte di esse legate ai racconti biblici. Naturalmente ne ho anch’io. Tra le persone incontrate durante la mia millenaria permanenza desertica, chi maggiormente mi ha colpito è stato Gesù di Nazareth. Appena l’ho visto, ho capito subito che aveva un non so che di differente rispetto a tutti gli altri. Il suo volto rifletteva, a un tempo, gioia celestiale e umana ansia e preoccupazione, che non si contraddicevano né erano in lotta tra loro, anzi, si armonizzavano in maniera inesplicabile. Mai mi era capitato di incontrare una persona simile, di scorgere una tale armonia e bellezza in un uomo, di sentirmi così in pace come al cospetto di Gesù. E non si può certo dire che di uomini di Dio ne abbia visti pochi in questo deserto di pietre e sabbia, di vuoto esteriore e pienezza interiore da ritrovare, di silenzi e intimi colloqui, di orizzonti spaziosi ed essenzialità di visioni. Lui però aveva qualcosa di diverso. Senza dubbio alcuno era un uomo; ma aveva in sé una impronta particolare, divina. Al suo arrivo percepii il soffio luminoso dello Spirito di Dio che lo stava impulsando, accompagnando e sostenendo. Noi pietre certe cose le conosciamo e le sentiamo. Le vostre menti invece sono spesso chiuse ad accogliere il mistero della vita e delle persone, e il vostro cuore è molte volte indurito (mi permetto di chiarire che è offensivo definire tale durezza come quella di una pietra). Tra tante pietre, aveva scelto me. Ogni giorno mi cercava per sedersi a pensare, per inginocchiarsi a pregare. Mi sentivo orgogliosa di questa elezione e del mio essergli utile. Mi piace pensare che abbia voluto chiamare Pietro un suo apostolo proprio in ricordo di quei giorni e in mio onore. Quaranta giorni insieme, tra preghiere, riflessioni e digiuno. Lo vedevo indebolirsi fisicamente, man mano che andava fortificandosi nello spirito. Sentivo pena per il suo stato di salute e la sua progressiva debolezza. Al termine di quella permanenza, Gesù ebbe fame. E allora si presentò il diavolo per metterlo alla prova. Ma trovò pane per i suoi denti (scusate l’ironia dell’immagine usata, in maniera non casuale…). Quando gli propose di trasformarmi in pane per saziare la sua fame ai limiti della sopravvivenza, dopo tutto quel digiuno, ero tanto in pensiero per la sua salute da essere disposta a sacrificarmi per il suo bene. Eppure Gesù, malgrado fosse allo stremo delle forze e lo stomaco desse gli ultimi rantoli di reclamo, volle rispettare la mia identità. Dio mi aveva creato pietra, con un ruolo ben preciso nell’universo e con la missione del racconto muto. Una bella lezione di umanità e dignità. Gli sarò eternamente grato per avermi insegnato il rispetto che non ammette strumentalizzazioni. Poi gli disse che avrebbe potuto consegnargli il potere su tutta la terra, se solo lo avesse adorato, facendosi suo schiavo. E Gesù, guardando con affetto me, piccolissima parte della bellezza e consistenza della madre terra, gli ha risposto che preferiva la libertà divina del non possesso, del servizio e della comunione, piuttosto che la schiavitù del potere umano e del dominio frutto di divisione. Ha poi aggiunto, qualora ce ne fosse stato bisogno, che Dio è Padre e Creatore (verità che il diavolo conosce benissimo), e ha creato il mondo e gli uomini per la bellezza e la libertà, beni da custodire come un tesoro, soprattutto dagli attacchi di satana, menzognero divisore. Infine, il diavolo ha fatto un estremo tentativo, portandolo sulla cima del pinnacolo del tempio e invitandolo a convincere le folle con la spettacolarità. Ma Gesù ha guardato con ammirazione quelle pietre levigate e ben armonizzate tra loro, e credo che abbia pensato con gioia e gratitudine a me, alla mia piccolezza e nascondimento, al mio essere periferica rispetto al centro della storia e del culto. Noi pietre accettiamo di lasciare il nostro habitat e di essere lavorate con l’unico fine di edificare luoghi per ospitare gli uomini o per dare culto a Dio. La nostra visibilità non nasce dal desiderio di apparenza e spettacolarità, ma dalla volontà di essere utili alla vita dell’uomo, mostrare di quanta bellezza e armonia è capace l’ingegno umano, dare onore alla grandezza di Dio. Gesù non ha abboccato all’inganno del diavolo. Un giorno, forse ricordando la sua esperienza di deserto e di incontro con le pietre, con me pietra, affermerà che la Chiesa, che da lui sarebbe nata, avrebbe dovuto fondarsi sulla roccia che è Dio, e avere lui, il Cristo, come pietra angolare della costruzione. Ci siamo rincontrati tempo dopo. Non più nel deserto. C’era una donna a terra accusata di adulterio, e la folla pronta a lapidarla. Non ero la pietra da lui conosciuta, ma un insieme di sassi a cui ero stata ridotta a causa di vicende lunghe da raccontare. Pur nella mia disgregazione, Gesù mi ha riconosciuta. Ed ha dato ascolto al mio grido muto di dolore e ribellione. Noi pietre non siamo nate per distruggere o uccidere, ma per costruire case, ponti e monumenti; per custodire la vita, favorire incontri, esaltare la bellezza. fra Matteo

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