Il Vangelo da dentro IO, DISCEPOLO (Lc 6, 13-26) Erano stati giorni intensi. Predicazione nei vari paesi della Galilea; guarigioni del corpo e dello spirito; controversie con le autorità religiose sul digiuno e l’osservanza del sabato. La sua fama andava aumentando a dismisura e la gente accorreva numerosissima, per ascoltarlo o per assistere a qualche miracolo. A volte non si riusciva neanche a mangiare. Ma Gesù trovava sempre il tempo per isolarsi in luoghi appartati, ad ore della notte, ed entrare in dialogo con suo Padre attraverso la preghiera. Dalla quale ritornava tra noi luminoso e incoraggiante. Comunque, sempre la preghiera precedeva decisioni importanti da prendere. Quella volta parve averci letto nel pensiero, quando decise che si andasse tutti insieme su una altura, noi e lui soli, lontani dal frastuono e dalle attività. Sentivamo il bisogno di staccare un po’ la spina, di riposare. Una santa allegria ci aveva invasi mentre salivamo con lui. Ci sembrava di ascendere verso l’altura di Sion, verso il Tempio in Gerusalemme, tanto era forte percepire la presenza del divino quando eravamo con lui. L’ascesa è stata accompagnata dalla recita e dal canto dei salmi di ascensione, che riempiono le labbra e il cuore dei pellegrini mentre sono in prossimità di Gerusalemme. La sera, come suo solito, si appartò in preghiera, e vi rimase tutta la notte. Al mattino ci convocò a sé. Aveva evidentemente qualcosa di importante da comunicarci, frutto del suo dialogo notturno con il Padre. Ci emozionò, dicendoci che eravamo per lui la sua nuova famiglia, che non avrebbe potuto sperare fratelli migliori e più numerosi di quelli che il Padre gli aveva dato; ma che era giunto il momento di nominare alcuni che gli stessero più da vicino e portassero avanti il suo annuncio di salvezza, qualora a lui non fosse più stato possibile. Aveva pensato a dodici di noi, che rappresentassero le dodici tribù del nuovo Israele, per noi e per tanti altri, popolo della nuova alleanza. Essi avrebbero avuto il compito di avviare il cammino, di formare e animare le comunità, di vegliare su possibili deviazioni dottrinali o morali. Almeno fino alla loro morte. Poi si sarebbe proseguito, forti del loro annuncio e testimonianza, saldi e fedeli, solidali e gioiosi, fino al giorno del ritorno di lui nella gloria. Confesso di aver sentito un certo vuoto e amarezza al constatare che il mio nome non era nella lista dei dodici apostoli. Ci avevo sperato. Umanamente è normale; penso che possiate capirmi. Ero rimasto “discepolo”. In seguito, l’esperienza con Gesù, il suo insegnamento e il suo esempio di vita mi hanno fatto capire che nelle nostre comunità ogni “chiamata” è finalizzata a un “invio”, e ciò che agli occhi degli uomini può sembrare “ascesa” o “potere”, ha come fine l’attenzione amorosa verso gli ultimi e il servizio verso tutti. Discesi dal monte, abbiamo trovato una grande moltitudine ad attenderci, da tutte le parti di Israele e delle terre confinanti. Il Maestro ha preso la parola e ci ha illustrato la via, le condizioni per essere felici. Le sue parole, le sue “beatitudini” ci hanno scioccato. Il contrario di quello che noi e tutti ci saremmo aspettato. Tuttavia, vi era un “voi” che ci identificava come “beati”. Noi, poveri, che avevamo lasciato tutto per seguire lui, fidandoci di lui. Noi, affamati, che ci saziavamo delle sue parole e della comunione con lui, dimenticando anche di mangiare quel poco che avevamo. Noi, afflitti, incapaci di rimanere indifferenti davanti al dolore altrui, mossi invece a sentire viscere di compassione verso i bisognosi, proprio come lui ci aveva insegnato e mostrato. Alla fine della sua vicenda terrena, avremmo compreso anche la beatitudine della derisione e persecuzione a causa del suo nome, che però al momento ci rimase oscura. Insomma, ci fece capire che la vera beatitudine consisteva nel vivere in comunione con lui e come lui, nell’amore di Dio e del prossimo. Ed era vero. Lo sperimentavamo giorno per giorno. Ancora una volta aveva ragione lui. fra Matteo
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